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Autonutrimento e autogratificazione

Quando stai seguendo una dieta puoi avere la tentazione di rimandare ogni attività piacevole e gratificante a quando avrai perso peso. Ad esempio comprerai quel bellissimo vestito visto in vetrina solo quando avrai raggiunto una taglia 40 o andrai in piscina con gli amici solo quando avrai raggiunto il tuo peso ideale. 

Essere troppo severo con te stesso e procrastinare dei momenti di piacere non aumenta la tua motivazione anzi, può compromettere la buona riuscita della dieta e portarti a ricadute. 
Alcuni ricercatori di Yale già 30 anni fa avevano definito il concetto di autonutrimento: "un atteggiamento tollerante, rasserenante e di sostegno nei propri confronti. Si basa sulla capacità di ricavare piacere dalle esperienze positive e di sopravvivere psicologicamente a quelle negative"1

La mancanza di divertimento e l'incapacità di trarre piacere dalla vita quotidiana crea solo un vuoto che potresti tentare di colmare usando il cibo come autogratificazione.

Essere benevolo verso te stesso, concederti dei momenti di divertimento migliora il tono dell'umore, riduce la fame emotiva, aumentando la probabilità di successo di una dieta.

Inizia quindi a pensare: cosa ti piace fare? Cosa ti diverte? Esperienze quotidiane facilmente realizzabili che non ti concedi perché credi di non meritartelo o di non avere abbastanza tempo, o di non essere abbastanza bravo. Scrivine almeno 5 e inizia ad inserire queste attività nella tua routine quotidiana, vivendo piccoli momenti di gratificazione. 2

A questo punto perdonati per gli eventuali fallimenti dietetici precedenti e riconosci le tue qualità. Se hai la la tendenza a minimizzarle o a darle per scontate, potresti pensare di essere un osservatore esterno imparziale. 
Scrivi almeno 5 delle tue qualità su dei post-it che puoi vedere durante il giorno e complimentati con te stesso per ogni traguardo che raggiungi, anche se può sembrarti banale. 

Ricordati: il tuo primo obiettivo non è quello di perdere peso ma imparare ad amarti. 

1 A. K. Lehman and J. Rodin (1989). Styles of self-nurturance and disordered eating. Journal of consulting and clinical Psychology, 57 pag 117
2 E. Abramson (1996) Emozioni e cibo. Come controllare la fame nervosa.Positive pres, cap 5

Sono pieno o sono sazio?

Alzi la mano chi all'ennesima portata di un banchetto nuziale ha esclamato: basta cibo, sono pieno! Magari toccando il ventre dilatato, incapace di accogliere anche un piccolo chicco d'uva.

Abbiamo provato tutti questa sensazione di gonfiore e pienezza, associandola alla sazietà. Ma sei sicuro che essere pieni equivalga davvero ad essere sazi? 

Fai questo esperimento 1: prova a bere in maniera consecutiva dei bicchieri d'acqua. Dopo un certo numero di ripetizioni, ti accorgerai di aver raggiunto il tuo limite. Sei sicuramente pieno ma puoi dire di essere sazio? Ovviamente no, perché hai bevuto solo dell'acqua! 

E' importante quindi distinguere la sensazione fisica di pienezza dalla sazietà, che invece è regolata a livello chimico. E' l'assunzione di cibo infatti, che riduce i livelli di grelina, il nostro ormone della fame. I carboidrati tenderanno a farla scendere rapidamente mentre i grassi la manterranno bassa più a lungo. Sono però comunque necessari almeno 20 minuti affinché il senso di sazietà giunga al nostro cervello, per questo è importante mangiare lentamente e prestando la massima attenzione 2.

Quindi la prossima volta che ti troverai a tavola, ascolta i segnali del tuo corpo e fermati prima di sentirti pieno! Non basarti solo sulla porzione che consumi abitualmente, perché potresti essere sazio già prima degli ultimi bocconi. 

Per darti un'indicazione di massima, secondo la tradizione zen, il cibo non dovrebbe mai superare i 2/3 del volume dello stomaco, perché la parte restante deve rimanere libera per la digestione 3. Una pratica simile viene applicata dagli abitanti di Okinawa, i più longevi al mondo, che riempiono lo stomaco per 8 parti su 10. Provare per credere!

Buon percorso,


Laura


1 Pescatori B. Materiale didattico del corso istruttori MB-EAT

2 Muhl M.,Von Kopp D. Il linguaggio segreto del cibo - 42 scoperte rivoluzionarie sull'alimentazione. Sperling & Kupfer (2017)

3 Hanh T.N., Cheung L. Mangiare zen- nutrire il corpo e la mente. Milano: Mondadori (2015).

I pilastri della mindfulness

L'atteggiamento con cui ci approcciamo alla pratica è fondamentale per coltivare la consapevolezza. Se ci accostiamo ad essa con scarso impegno e poca energia non saremo costanti. Se ci imponiamo di rilassarci o di raggiungere a tutti i costi dei risultati, finiremo per credere di non essere capaci.

Secondo Jon Kabat Zinn, gli elementi fondanti della mindfulness sono sono sette :

• Equanimità: la capacità di non giudicare, di conoscere ciò che accade senza preferenze. Dire di sì a qualunque cosa sorga, senza etichettarla come buona o cattiva, testimoni imparziali della nostra esperienza.

• Pazienza: la saggezza nel comprendere ed accettare che ogni cosa nella vita richiede un suo tempo di maturazione e che ogni momento è già pieno così come è.

• Mente del principiante: osservare il mondo con gli occhi di un bambino, come se ogni istante tutto ci fosse sconosciuto e ci destasse meraviglia. Una mente aperta, curiosa, fiduciosa, senza pregiudizi e preconcetti derivanti dal passato o dall'educazione ricevuta.

• Fiducia: aprirsi alle esperienze della vita fiduciosi nelle nostre capacità, nella saggezza interna che ci guida.

• Non cercare risultati: semplicemente stare con quel che c'è invece di fare, stare nel momento presente. Respirare e riportare l'attenzione al corpo quando la mente scimmia si perde nel rivivere il passato o a preoccuparsi del futuro.

• Accettazione: strettamente connessa al concetto di equanimità, accettare ciò che sorge in questo preciso momento. Mi accetto per come sono ora, anche se posso avere qualche chilo di troppo. Solo dall'accettazione si può puoi proseguire nella trasformazione.

• Lasciare andare: Panta rei diceva Eraclito, tutto scorre, tutto è impermanente ed è impossibile bagnarsi più volte i piedi nello stesso fiume. E' il nostro attaccamento ad un pensiero, una persona, una cosa a causare la sofferenza.

Prova ad accostarti alla mindfulness come uno scienziato durante un esperimento: con un pizzico di scetticismo ma con apertura a tutto ciò che può accadere. 
Queste qualità sono importantissime anche per intraprendere un percorso di consapevolezza alimentare e di accettazione corporea.

Quale di queste ti risuona di più? Su quale invece puoi ancora lavorare?

Buon percorso,

Laura

 1 Kabat-Zinn J. Vivere momento per momento - Sconfiggere lo stress, il dolore, l'ansia, e la malattia con la saggezza di corpo e mente. Tea (2004)

I 9 tipi di fame

Avete mai visto un leone o un orso in sovrappeso? Sicuramente no, perché gli animali selvatici rispondono alla fame fisiologica, cioè quella che permette di ottenere energia al fine di espletare le normali funzioni per la sopravvivenza. Quindi se fossimo un leone nella savana o un orso polare mangeremmo per un motivo semplicissimo: la fame cellulare!

Noi esseri umani invece, possiamo mangiare non solo per un istinto atavico, quella saggezza interiore che ci induce a mangiare nutrienti utili alla nostra sopravvivenza, ma anche perché siamo stimolati attraverso i sensi, oppure per colmare delle carenze affettive, o ancora, per scaricare delle tensioni mentali. 

Questo accade perché la mente interagisce con il cibo e condiziona le nostre abitudini alimentari, a partire dal concepimento fino alla vecchiaia. Conoscere i meccanismi che sono alla base del rapporto mente-cibo restituisce un senso di amore e di libertà al nutrimento, che troppo spesso diventa solo un automatismo invece di un atto sacro. 

E' importante perciò iniziare a prendere consapevolezza che esistono vari tipi di fame oltre a quella cellulare: 2

  • La fame degli occhi: sfogliamo una rivista di cucina e abbiamo l'acquolina in bocca solo a guardare le foto dei piatti
  • La fame del tatto: "il piacere di tuffare la mano in un sacco di legumi", come diceva Amèlie 3
  • La fame delle orecchie: siamo al cinema e il nostro vicino sgranocchia dei pop corn, ne sentiamo il rumore e subito ci viene voglia di mangiarne una manciata
  • La fame del naso: camminiamo per strada e ci arriva il delizioso profumo di una torta appena sfornata, non iniziamo a sognarne una fetta?
  • La fame della bocca: assaporare lentamente un cibo godendoci la consistenza, cercando delle sensazioni piacevoli
  • La fame dello stomaco: è ora di cena e non abbiamo ancora messo nulla sotto i denti, ecco che abbiamo i crampi e il nostro stomaco inizia a brontolare
  • La fame della mente: "ho letto su una rivista che questo cibo contiene tot calorie, quindi non dovrei mangiarlo, quest'altro invece è sano perciò non corro pericoli.."
  • La fame del cuore: ci ritroviamo a mangiare una vaschetta di gelato davanti ad un film strappa lacrime nel tentativo di superare una delusione amorosa, oppure ci sentiamo in ansia e sgranocchiamo un pacchetto di patatine per calmarci


E tu, ti sei riconosciuto in alcune di queste situazioni? 
Nei prossimi post approfondiremo meglio questi argomenti intanto, quando hai fame, prima di addentare qualunque cosa ti capiti a portata di mano, fermati un attimo e chiediti se la fame che senti è reale o se rientra in queste categorie.

Buon percorso,

Laura













1 Riefoli M. Il rapporto mente-cibo. La guida più completa sui meccanismi mentali in relazione all'alimentazione dal concepimento alla vecchiaia. (2005)
2 Bays J.C. Mindful eating per riscoprire una sana e gioiosa relazione con il cibo. Enrico Damiani editore (2018) 
3 Il favoloso mondo di Ameliè (2001)